Modus Bibendi bianco 2018, Terre Siciliane IGP, Elios, 12,5 gradi.

Lo scorso anno, di maggio, eravamo in Sicilia con mia moglie in viaggio di nozze.

Meta fortemente desiderata ed altrettanto amata.

Mancavo da anni. Era trascorsa una decade, ormai, dagli ultimi viaggi di lavoro. Ancor più remoti quelli da turista, risalendo addirittura al 1997: due indimenticabili settimane con gli amici storici, tra Palermo e la provincia di Trapani, con base a San Vito Lo Capo.

Ricordo di quel tempo una sera ad Erice, così avvolta nelle nubi che, tra i vicoli, perdevamo contatto visivo in pochi metri. C’era un sentimento sospeso: per la nostra età, per la bellezza dei luoghi e per le ombre arcane che quelle nubi materializzavano attorno.

Cenammo in una trattoria della quale non ricordo nome, né esatta ubicazione; ma fu indimenticabile la pasta squisita con pesce spada, pomodorini, pinoli, menta, e quel Grillo che tanto bene l’annaffiava: un vino con profumi così particolari come non ne avevo mai sentiti, trasognate suggestioni mediterranee e orientali.

Dunque più volte durante il viaggio di nozze fui attratto dall’assaggio del Grillo, che mancavo da qualche anno, ma ne restai deluso, preferendogli sovente il Catarratto. I Grillo incontrati in viaggio avevano profumi fruttati e floreali innaturalmente marcati e slegati: più che suggestioni, erano luci abbaglianti, presumo dovute a vinificazioni in riduzione spinta, ovvero in assenza di ossigeno.

Finii col pensare che il mio gusto fosse cambiato e che il Grillo non fosse più nelle mie corde.

A Sciacca assaggiai un vino artigianale buonissimo della azienda Elios di Alcamo, che non conoscevo: un taglio di uve bianche autoctone vinificate con macerazione; me lo propose il competente e appassionato giovane gestore di Baccanale, un ottimo bistrot di vini naturali, presso il porto turistico.

Quasi un anno dopo, trovando in rete il Grillo di Elios, la curiosità mi vinse e colsi l’occasione di acquistarlo.

Scopro dalla scheda aziendale che questo Grillo in purezza proviene da terreni argillosi calcarei, in contrada Valdibella di Camporeale, a venti chilometri dal mare. La zona è relativamente fresca, permettendo vendemmie a inizio di settembre. Viene vinificato in bianco, con fermentazioni spontanee e con una certa naturale esposizione all’ossigeno. Affina 7 mesi in acciaio inossidabile.

Ne risulta un bianco poco lavorato, più simile a quel Grillo dei miei ricordi, sfumato, vago e solare, che mi fa battere il cuore fin dall’aspetto: ha un color limone carico con riflessi giada e appare piuttosto viscoso mentre danza sensualmente nel bicchiere, ma sul vetro lascia solo un velo che lentamente si dissolve, non lacrime.

Il profumo è l’evocazione di un paesaggio mediterraneo ideale: un quadro da Gran Tour di inizio Ottocento, dalle tinte solari, rese con vivida intensità, grande concentrazione, naturale ariosità. Scorrendo l’immagine, fiori gialli: ciuffi di ginestre e mimose; alberi carichi di agrumi rari (pompelmo, bergamotto) e di pesche profumate; macchie verdi di rosmarino; forse, disposti sul tavolo di un dehor, sotto una pergola di uva spina, fette di melone bianco, piccoli calici colmi di sambuca. In lontananza – minutissime stelle – il tenue candore dei fiori di vaniglia.

Questa l’evocazione olfattiva, incompleta: perché nella realtà c’è un lieve tocco di aldeidi che dona al vino freschezza e profondità.

Il sorso è ampio e di gran corpo, con estrema avvolgenza, per una sensazione tattile viscosa che ne maschera la secchezza, propiziando una sensazione pseudo dolce. Questa massa glicerica nattenua la discreta salinità. L’acidità è viceversa notevole, considerata la provenienza geografica: ne risulta un vino reattivo, col finale molto lungo, equilibrato, piacevolmente alcolico, dall’accenno amaro, forse terpenico.

Ecco che nella sua schietta fattura questo vino mi riporta in Sicilia: ne sento gli odori, ne godo i paesaggi, ne respiro la magia; e mi riconcilia, finalmente, con l’uva grillo, riportandola alla terra.

È stato eccellente, sulla nostra tavola, con spaghetti zucchine e bottarga di muggine.

Schioppettino Colli Orientali del Friuli 2009, Iole Grillo, 12,5 gradi.

Ogni volta che apro questo Schioppettino dell’Azienda Agricola Grillo Iole penso che è come sedersi sulla propria poltrona preferita o allungarsi dopo cena su un morbido divano: la stessa sensazione rilassante di conforto, di casto ma sensuale piacere. Ne avevo qualche bottiglia che ho centellinato come le pagine di un libro amato, che non si vuole veder finire: uno di quei racconti profondi, ma che sanno porsi con grazia e leggerezza, come un sorriso gentile quando ne hai bisogno.
Si dice che lo Schioppettino non sia in genere un vino longevo. Questo ha ormai quasi sette anni, cinque ne ha passati in un appartamento, steso ma in condizioni tutt’altro che ideali. Eppure quando levo il lungo turacciolo di sughero il vino è ancora tonico, fresco, appena smorzato nei suoi profumi più fruttati. Rubino scuro alla vista, ha nel suo colore le trasparenze dell’ombra; al bordo un cerchio granato ne segna l’età; gocciole lente sul calice rimandano a una presenza carezzevole. Il profumo, seppur mutato dalla gioventù, resta di intensità notevole, persino rara in tanti seppur celebrati rossi nostrani. Inoltre è tipico, personalissimo: frutti di bosco neri, mirtilli in particolare; nè manca, in second’ordine, qualche cenno di susine rosse; e toni freschi, vegetali; ma è soprattutto e di gran lunga la componente speziata a tenere il campo, così sfaccetta, complessa e insistita: la noce moscata, il chiodo di garofano, la cannella, il pepe bianco e verde;  aromi che sono lì materici e nitidi, ma in qualche modo sfumati, in perfetto equilibrio tra dolce e piccante, integrati da una componente fortemente balsamica, che è un tocco di legna odorosa, boschiva, al limitar dell’inverno, quando è umida e coperta di muschio. Essi si raccontano a mezza voce,  con avvolgenza consolatoria, un racconto davanti al camino col vento che sibila lassù nella canna fumaria. E poi al palato si offre con morbidezza scorrevole, senza asprezze o scalini, temprata da un’acidità ancora sufficiente da garantire allungo e freschezza, che si inserisce un un corpo medio dove il tannino è assai presente (è uva a buccia spessa lo schioppettino), ma di grana finissima, una polvere d’oro di particelle levigate. Si giova di un grado alcolico relativamente basso, inconsueto al giorno d’oggi ed è una boccata d’aria fresca.  Uno Schioppettino questo di Grillo giocato più sulla levità ed il garbo che sulla forza e la complessità, trovando una dimensione quotidiana e a misura d’uomo piuttosto che monumentale, ma non per questo meno elegante. Un’eleganza comunque distinta la sua: sempre perfetta, in ogni momento. Così pure a tavola non mancherà mai l’abbinamento e sarà un perfetto compagno per una chiacchierata o una solitaria meditazione. L’ho assai goduto su rustici fusilli al sugo di salsiccia, ma sarebbe stato ideale anche per un romantico tete-a-tete.  Eh, lo schioppettino! Non darà vini potenti e longevi come il nebbiolo o il sangiovese, ma non ho dubbi: per me è tra le grandi uve rosse italiane.

Grillo rocce di pietra longa IGT terre siciliane 2012 Centopassi, 13 gradi

Centopassi e’ una cooperativa che produce vino in Sicilia da terreni che lo Stato ha confiscato alla mafia ed ogni bottiglia e’ dedicata a un uomo o a una donna che ha perso la sua vita opponendosi alla criminalità. Si potrebbe scrivere a lungo dell’importanza sociale ed ideale che questa iniziativa rappresenta, raccontarne la storia e la dedizione di chi la anima. Questa volta però voglio parlare solo del vino, perché e’ la prima volta che posso berne con tutta calma, anche se già gli assaggi all’ultimo Vinitaly mi avevano impressionato e se da tempo ne sento parlare bene da voci affidabili; e perché, diciamolo: e’ facile farsi influenzare dalla bella fiaba e sovrastimare le qualità’ del vino. Ecco allora che pieno di curiosità apro questo Grillo, uva bianca di origini incerte (c’è chi la vuole pugliese) ma da lunghissimo tempo acclimatata in Sicilia al punto da potersi considerare autoctona, e difatti rientra tra quelle tradizionalmente impiegate per il Marsala, dove ricopre un ruolo fondamentale. Qui e’ vinificata in purezza (pratica per quel che ne so piuttosto recente) ed in maniera relativamente semplice, impiegando vasi vinari in acciaio. Il vino che se ne ricava e che verso nel calice e’ giallo paglierino non troppo carico, con riflessi verdolini, che non lascia intendere una particolare ricchezza estrattiva dalle lacrime che lascia sul bordo, piuttosto evanescenti. Sulle prime e’ un po’ contratto, quasi dovesse svegliarsi, ma poi si apre a profumi bellissimi di ginestra, biancospino, giglio della sabbia, cucunci, foglie di capperi, rosmarino, origano, alloro, timo, minerale, con un’intensità non prevaricante, ma nemmeno timida: educata, diremmo piuttosto. Poi, lasciandogli ancora tempo,si fanno strada agrumi amari (chinotto, cedro), ribes bianco, che si alternano alla mandorla ed a una diffusa sensazione di mineralita’ di roccia levigata, di ciottoli marini. Sapido, con una bella acidità amichevole, con un corpo medio ed una media permanenza ha un’adattabilita’ sorprendente ai cibi più diversi, di terra e di mare: dai pici con bottarga e zucchine, alle polpette di pane, ai fiori di zucca ripieni, ai fagioli lessati, alla burrata. Soprattutto ha un suo andare sul palato naturale, puro, ordinato, passante, un allungarsi senza sforzo e senza spigoli ed uno scemare con naturalezza, come un suono che si spenge nell’aria, come l’onda che ritorna al mare: la caratteristica dei grandi vini, a mio vedere. Avesse un tocco di complessità in più! Difficile però trovarla in un vino giovane che non passa legno, magari col tempo verrà da se’. Intanto vive questa fase sul contrasto tra un registro fresco ed uno più ossidativo, che si risolve con le ore in un’identità orgogliosamente mediterranea: più fruttato, equilibrato e saporito il giorno seguente, addirittura dopo 48 ore sfoggia un incredibile, nitidissimo mandarino, che si staglia con estrema naturalezza su tutti gli altri aromi ed in se’ li ricompatta e li amalgama, risultando al palato ancora più disteso, armonico e lungo. Ed ecco che questo suo respirare mutevole, questo suo correre libero ci riporta forse all’inizio, ad un’idea di libertà nella giustizia, ad una forza etica che si fa gustativa. (2 agosto 2014).
Per saperne di più : http://centopassisicilia.it