
Tra i vini bianchi il Riesling occupa un posto speciale nel cuore di appassionati e – diciamo così – addetti ai lavori. Quando feci l’esame di Diploma del WSET, una delle domande chiedeva di dissertare se e perché il riesling potesse essere considerata la più grande uva bianca del mondo. Ti risparmio – amico, amica che mi leggi – un noioso saggio accademico, che nemmeno saprei riscrivere. Però, in breve, ecco alcune delle sue tante frecce nell’arco: aromi intensi e personali, acidità elevatissima che ne garantisce longevità talvolta pluridecennale e freschezza di beva, alto contenuto zuccherino anche in climi freddi, adattabilità a diversi terreni dei quali restituisce le differenze con trasparenza speculare, capacità di fornire risultati eccellenti in vini fermi, mossi, secchi, dolci per appassimento o per muffa nobile.
Malgrado il Riesling sia l’icona del vino tedesco e la Germania la sua patria elettiva, in realtà l’uva che l’origina è oggi coltivata in tutto il mondo e i vini prodotti sono spesso buoni se non eccellenti.
Una tra le zone emerse ultimamente con risultati sorprendenti è la remota Valle di Leyda, in Cile. Urca: un’uva di natura così nordica in Sudamerica, ma non sarà troppo caldo? In realtà questa valle che si trova a 60 chilometri a sud ovest di Santiago è molto fresca: la vicinanza del Pacifico, lì a poche miglia, la beneficia della corrente Humbolt, che abbassa le temperature ma non troppo (non ci sono gelate nel periodo della crescita), mentre l’aria tersa e la latitudine garantiscono maturazioni lunghe che portano a un buon bilanciamento dell’uva, che gode anche di suoli favorevoli, un misto di argille rosse e strati di granito. Di contro la piovosità è così bassa che l’irrigazione è necessaria: per darti un’idea, solo 250 mm di pioggia l’anno, contro i 537 mm del Rheingau tedesco, i 741 mm di Torino, i 1248 mm di Udine .
Il risultato è un bianco indubbiamente Riesling, ma con caratteristiche individuali, non confondibili con quelli di altre provenienze, sebbene un filo rosso tra i Riesling del Nuovo Mondo possa essere ravvisato in un eloquio più diretto e meno sfumato rispetto a quelli europei.
Rimosso il tappo a vite, si offre un vino dal colore limone pallido, con archetti radi, lenti e poco marcati; dai profumi di intensità superiore alla media, a un tempo attesi e originali, di mandarino, pepe verde, camomilla, sambuco, anice, curry, gomma bruciata; sì questo sentore netto di affumicato (proprio dell’uva e diversissimo dall’affumicato tipico della barrique) e petrolio così deciso è una caratteristica peculiare di questo Riesling di Leyda. I vini cugini tedeschi necessitano anni di affinamento per sviluppare tali aromi, e mi chiedo se queste note così spiccate non siano invece qui dovute al potente irraggiamento solare o a qualche pratica di cantina. Il fatto resta però: è qualcosa di tipico, caratteristico, inconfondibile. Al palato questo bianco si conferma di struttura importante, ma il sorso è assai fresco: appena abboccato, con un’acidità altissima, ha sapori concentrati dove spiccano pompelmo, pepe verde, miele di agrumi, il curry ed ancora l’affumicato, la gomma bruciata. Ricorda in qualche modo i Riesling potenti del Reno, ma non ne ha la salinità minerale, sostituita in pieno nel bilancio generale dalla nota idrocarburica. L’arco gustativo termina su un finale bilanciato, di lunghezza superiore alla media,avvolgente, dove appena un po’ emerge l’alcol. Di lui mi piace l’essere assai flessibile negli abbinamenti, risultando ottimo anche per un aperitivo importante, perché anche il vino in sè è flessibile: corre bene sul palato, è appuntito ed affilato volendo, ma tessuto con estrema cura, senza rugosità o ruvidezze. E, va detto, non è nemmeno troppo costoso. In questo gioco tra territorialità e internazionalità, tra pienezza e freschezza, tra fascino caratteriale ed ampia accessibilità, ha la grazia di una modernità possibile.